Venerdì 18 agosto: San Cristobal de Las Casas
Andiamo a San Juan de Chamula.
Ritroviamo l’assalto dei bimbi che cercano di appiopparci di tutto. Il pueblo,
come al solito, è misero. Sentiamo un’atmosfera quasi ostile, come se la gente
fosse costretta a sopportare noi turisti ma ne farebbero volentieri a meno. E,
ripensando al turista medio, li capisco.
La “chiesa” è affascinante,
intrisa di “sacro” e di profano. È difficile descriverla, è un posto da
“respirare”. I riti sono, almeno per noi, incomprensibili: file di candeline
accese attaccate in terra attorno ad una bottiglia di coca ed un bicchiere, un
sacchetto di uova sode, una gallina viva esposta al santo di turno e poi messa
via, scarpe vecchie infilate nella teca del santo preferito, aghi di pino secchi
dappertutto, odori di tutti i generi… Ora capisco perché i locali sono così
gelosi: i turisti possono entrare, ma in chiesa è assolutamente vietata ogni
tipo di ripresa. Lo dicono in tutti i modi: cartelli da tutte le parti fuori e
dentro, avvertimenti bonari e non, fino ad una persona che all’entrata ti
ricorda cosa puoi e non puoi fare. E dentro qualcuno è costantemente all’erta
per impedire eventuali “furti” di immagini. Eppure, nonostante tutto questo,
qualcuno ogni tanto ci prova lo stesso, e pare sia finito anche molto male. Ho
“corrotto” un bimbo promettendo di comprargli dei braccialetti se mi avesse
accompagnato in chiesa e spiegato un po’ di cose. In realtà non ho capito
granché di quel che mi ha detto, se non che la gente lì crede a modo proprio, ed
allo stesso modo applica una specie di “fai da te” delle cerimonie.
Riprendiamo la corriera per
trasferirci a Puerto Escondido: altri 500 chilometri e 13 ore di viaggio.